La rivista The Lancet nell’agosto 2018 ha pubblicato i risultati di un’analisi condotta in 18 Paesi su una popolazione adulta di età compresa tra i 35 ed i 70 anni, senza malattie cardiovascolari. L’obiettivo era studiare l’eventuale associazione tra l’assunzione di sodio e potassio (stimata mediante la raccolta di urina mattutina a digiuno), l’incidenza di malattie cardiovascolari ed il tasso di mortalità. È emerso che il sodio può associarsi a malattie cardiovascolari ed ictus solo quando il consumo medio supera i 5 g al giorno.
Nello stesso periodo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nelle direttive generali per una sana alimentazione, affermava che un consumo di sale inferiore a 5 g al giorno (meno di 2 g di sodio) può contribuire a prevenire l’ipertensione nella popolazione adulta e a ridurre il rischio di cardiopatie ed incidenti cardiovascolari. Ragion per cui gli Stati membri dell’OMS si sono accordati su una politica comune al fine di far ridurre, entro il 2025, il consumo di sale nella popolazione mondiale di circa il 30%, oltre ad arrestare l’aumento dei casi di diabete e obesità in adulti e adolescenti ed il sovrappeso infantile.
Credo che il fatto che l’OMS abbia ritenuto urgente l’adozione di una politica per diminuire l’introito di sale nella popolazione mondiale spieghi due ‘orientamenti’ significativi: da un lato la tendenza generalizzata al consumo eccessivo di sodio, dall’altro l’esposizione al maggior rischio (concreto e conseguente) di incappare in problemi di salute di diversa natura. Va detto però che l’incremento quotidiano di sale è spesso da associarsi all’assunzione di prodotti industriali che ne contengono quantità ‘nascoste’, anche abbondanti, ma di cui la popolazione non ha reale consapevolezza. Ritengo che educare le persone a un consumo cosciente di sale sia fondamentale tanto quanto incentivarle ad utilizzarne una quantità minima sin dall’infanzia.